Immaginate questa scena. Siete in una riunione aziendale. Il vostro capo propone un’idea. Guardate i vostri colleghi annuire. Qualcosa dentro di voi sussurra che forse quella soluzione non è la migliore, ma, vedendo il consenso generale, rimanete in silenzio.
Vi è mai capitato?
Questo è un classico caso di pensiero di gruppo, quello che gli esperti chiamano “groupthink”, e, fidatevi, è molto più pericoloso di quanto sembri.
Il groupthink e le sue origini
Oggi voglio parlarvi di uno dei fenomeni più insidiosi che incontro nelle organizzazioni, il groupthink, il nemico nascosto che sabota le decisioni dei vostri team senza che ve ne accorgiate.
Scoprirete cos’è esattamente il pensiero di gruppo, perché è così pericoloso per le vostre decisioni aziendali, come riconoscerlo nei vostri team, e, soprattutto, come prevenirlo ed evitarlo utilizzando tecniche adeguate.
Il termine “groupthink” è stato coniato dallo psicologo Irving Janis nel 1972 (anche se il termine stesso era già apparso in un contesto diverso nel 1952 in un articolo pubblicato dal sociologo William H. Whyte), dopo avere studiato alcuni dei peggiori disastri decisionali della storia moderna. Janis lo definì come un deterioramento dell’efficienza mentale, della verifica della realtà e del giudizio morale che risulta dalle pressioni del gruppo.
Siamo in presenza del fenomeno del groupthink quando le persone in un gruppo danno più importanza a mantenere l’armonia, il consenso, piuttosto che a pensare efficacemente, e, per conseguire tale obiettivo, vengono impedite e disincentivate l’acquisizione di dati e informazioni ulteriori rispetto a quelle che già sono disponibili, la verifica delle fonti dei dati e delle informazioni, la loro analisi, la generazione di nuove idee, la loro valutazione e la formulazione e valutazione di possibili alternative.
Irving Janis sviluppò questa teoria dopo avere studiato alcuni dei peggiori disastri decisionali della storia moderna. L’attacco di Pearl Harbor, la Baia dei Porci, l’escalation in Vietnam.
Cosa avevano in comune?
In tutti questi casi, gruppi di persone intelligenti e competenti presero decisioni catastrofiche.
Il caso più emblematico che Janis studiò fu la Baia dei Porci del 1961. Il Presidente Kennedy e i suoi migliori consiglieri, persone brillanti, esperte, pianificarono un’invasione di Cuba che fallì completamente in soli tre giorni.
Come fu possibile?
Tutti i sintomi del groupthink erano presenti. Nessuno osò sfidare il piano, i dubbi furono censurati, il consenso apparente fu scambiato per unanimità reale.
Kennedy imparò la lezione. Dopo quel disastro, introdusse misure specifiche per incoraggiare il dissenso critico nel suo team.
Come nasce il groupthink
Come nasce il groupthink?
Il groupthink non nasce dalla malafede, nasce da dinamiche psicologiche normalissime. Il desiderio di appartenenza al gruppo. La paura di essere esclusi o criticati. Il rispetto verso figure di autorità. La preferenza per l’armonia rispetto al conflitto. La tendenza a cercare informazioni che confermano ciò che il gruppo già pensa.
Queste sono tutte caratteristiche umane naturali. Il problema è che, nei contesti decisionali e aziendali, queste dinamiche possono portare a conseguenze devastanti.
Quali condizioni favoriscono il groupthink
Quali condizioni favoriscono il groupthink? Janis identificò tre condizioni principali che favoriscono il pensiero di gruppo.
Prima condizione: coesione elevata del gruppo. Paradossalmente team molto affiatati rischiano di più.
Seconda condizione: isolamento del gruppo da opinioni esterne. Ciò si verifica quando un team lavora in una bolla autoreferenziale.
Terza condizione: leadership direttiva. Ricorre quando un leader carismatico o autoritario promuove apertamente una soluzione specifica prima che il gruppo abbia potuto analizzare le alternative.
I sintomi del groupthink
Come si manifesta concretamente il groupthink nel vostro team?
Janis individuò otto sintomi caratteristici.
Vediamo quali sono.
Illusione di invulnerabilità: il team sviluppa un eccesso di ottimismo e si convince che le proprie decisioni non possano fallire.
Fede incrollabile nella moralità del gruppo: i membri credono fermamente che le decisioni del gruppo siano moralmente giuste, il che li porta a ignorare le conseguenze etiche delle loro azioni.
Razionalizzazione collettiva: il gruppo scarta sistematicamente informazioni o segnali di allarme che contraddicono la direzione scelta.
Stereotipizzazione degli esterni: chi solleva dubbi o critiche viene etichettato come “non collaborativo”, “negativo”, o “non allineato”.
Pressione sui dissidenti: i membri che esprimono perplessità subiscono pressioni esplicite o implicite per conformarsi.
Autocensura: le persone scelgono deliberatamente di non esprimere dubbi o preoccupazioni per non disturbare il consenso apparente.
Illusione di unanimità: il silenzio viene interpretato come accordo. Se nessuno si oppone, significa che tutti sono d’accordo.
Guardiani della mente: alcuni membri del gruppo si autonominano “protettori del consenso”, filtrando attivamente informazioni scomode.
I segnali di allarme della presenza del groupthink
Quali sono i segnali di allarme a cui è opportuno prestare attenzione per prevenire il groupthink?
Nel vostro team aziendale fate attenzione a questi segnali.
- Riunioni dove nessuno solleva obiezioni.
- Decisioni prese troppo velocemente, senza analisi delle alternative.
- Frasi come “siamo tutti d’accordo, giusto?”, che chiudono prematuramente le discussioni.
- Mancanza di devil’s advocate o di figure che sfidano costruttivamente le ipotesi.
- Culture aziendali dove è mal visto “portare problemi” o essere critici.
Uno studio del 2021, pubblicato su Nature Communications, ha dimostrato che nei gruppi più grandi, come quelli da 24 a 50 persone, la diversità negli approcci di problem solving si riduce fino a 3-4 volte rispetto ai gruppi piccoli.
Paradossalmente, team più numerosi sono più vulnerabili al pensiero di gruppo.
Gli effetti groupthink sulle decisioni aziendali
Quali sono gli effetti concreti del groupthink sulle decisioni aziendali?
- Decisioni di bassa qualità: vengono scartate alternative migliori semplicemente perché nessuno ha avuto il coraggio di proporle o difenderle.
- Mancanza di innovazione: le idee veramente originali, quelle che potrebbero fare la differenza, vengono soffocate sul nascere, perché “troppo diverse” o “troppo rischiose”.
- Errori strategici costosi: progetti fallimentari proseguiti troppo a lungo perché nessuno ha voluto ammettere i segnali di crisi.
- Perdita di talenti: i membri più critici e creativi del team, frustrati dall’impossibilità di contribuire autenticamente, abbandonano l’organizzazione.
- Cultura aziendale tossica: si consolida un ambiente dove il conformismo è premiato e il pensiero critico punito.
Immaginate un team di sviluppo prodotto dove tutti sanno che una feature è problematica, ma nessuno la mette in discussione, perché il CEO l’ha proposta. Il prodotto viene lanciato, fallisce, e solo dopo tutti ammettono l’insuccesso con espressioni del tipo “lo sapevo che non avrebbe funzionato”.
Questo è il groupthink in azione.
Come evitare il groupthink tramite la tecnica del pensiero parallelo o dei Sei cappelli per pensare
Ora che abbiamo capito cos’è il groupthink, come si manifesta e perché è pericoloso, la domanda fondamentale è: come lo evitiamo?
Come possiamo strutturare i nostri processi decisionali per prevenire il pensiero omologato e sviluppare invece idee originali e decisioni di qualità?
La buona notizia è che esistono tecniche di pensiero di comprovata efficacia, progettate proprio per evitare le trappole del pensiero di gruppo.
Come corporate trainer certificato de Bono, aiuto i miei clienti a praticare con successo tali tecniche.
La tecnica dei Sei cappelli per pensare, elaborata dal Professor Edward de Bono, costituisce lo strumento principale di prevenzione dei rischi del groupthink.
Il Professor Edward de Bono ha elaborato tale tecnica per superare, per contrastare, i limiti del tradizionale e comune modo di pensare, costituiti dalla presenza, nelle varie sessioni di pensiero, del cosiddetto adversarial thinking, in cui ogni partecipante al processo di pensiero tende a fare prevalere la propria opinione preformata rispetto a quella degli altri partecipanti alla sessione di pensiero.
Altro limite è costituito dalla circostanza che si tende a dare prevalenza all’attività di processing, di elaborazione dei dati, rispetto alla preliminare attività di perception, di acquisizione dei dati e delle informazioni e della loro verifica.
E un ulteriore limite è costituito dalla circostanza che il nostro cervello, di default, funziona mediante schemi o modelli, ed è tendenzialmente non portato alla generazione di nuove idee.
Con la tecnica dei Sei cappelli per pensare, il Professor Edward de Bono ha metaforicamente abbinato dei cappelli colorati alle sei frequenze di pensiero di cui è capace il nostro cervello, individuando la frequenza del cappello blu, la frequenza del cappello bianco, la frequenza del cappello rosso, la frequenza del cappello giallo, la frequenza del cappello nero e la frequenza del cappello verde.
In tale modo viene consentito lo sfruttamento ottimale della nostra intelligenza, tramite questa tecnica di pensiero, e, nel caso di uso di gruppo dei Sei cappelli di per pensare, tutti i partecipanti al processo di pensiero sono invitati a utilizzare le loro frequenze, i cappelli, per concorrere, insieme agli altri partecipanti, all’adozione delle decisioni alle quali tale tecnica di pensiero consente di giungere in modo altamente rapido ed efficace.
In considerazione del superamento, da parte della tecnica dei Sei cappelli per pensare, del cosiddetto adversarial thinking, in quanto tutti i pensatori concorrono all’adozione della decisione finale cui è preordinata la sessione di pensiero, tale tecnica viene anche denominata tecnica del pensiero parallelo.
Che cos’è il pensiero parallelo?
Come abbiamo illustrato in altri video, uno relativo al pensiero parallelo in generale e l’altro all’impiego di tale tecnica per gestire decisioni complesse senza stress, con il pensiero parallelo viene realizzata una esplorazione collaborativa di tutti gli aspetti di una determinata situazione da parte di coloro che partecipano al processo di pensiero, invece che un confronto dialettico, basato sulle regole della logica, con il quale ognuno tende a fare prevedere la propria tesi ad ogni costo rispetto alla tesi degli altri interlocutori, e tale tecnica, pertanto, contrasta naturalmente il rischio di groupthink, ossia della passiva uniformazione dei partecipanti al processo di pensiero al pensiero espresso da altri pensatori, uniformandosi allo stesso.
I pensatori si concentrano sull’argomento e non sui pensieri degli altri sull’argomento per poterli contrastare utilizzando regole logiche.
Se vi sono opzioni differenti, pensieri differenti, vengono in ogni caso recepiti, e, in particolare, chi indossa il cappello blu, che conduce, guida la discussione, svolgerà questa attività di ricezione, rilevazione dei vari pensieri potenzialmente in contrasto, e successivamente verranno utilizzati, nei limiti in cui si rivelino utili a raggiungere un determinato obiettivo.
Chi indossa il cappello blu invita tutti i partecipanti a partecipare, attivamente, al processo di pensiero, e si preoccupa delle prestazioni/performance di tutti, affinché ognuno possa massimizzare il proprio potenziale.
Il ruolo del cappello blu, pertanto, assicurando il corretto impiego della tecnica del pensiero parallelo, dei Sei cappelli per pensare, rafforza l’efficacia di prevenzione del groupthink durante le sessioni di pensiero.
Come evitare il groupthink tramite la tecnica del pensiero laterale
Anche la tecnica del pensiero laterale è utile per evitare di incorrere nei rischi del groupthink.
Vediamo come.
È opportuno individuare il significato che comunemente viene attribuito al termine “errore”, e prendere in considerazione le conseguenze negative della paura di sbagliare, che spesso induce i pensatori nei vari team a bloccarsi nel cosiddetto groupthink.
Occorre effettuare una precisazione relativamente alla paura di sbagliare, di commettere errori e delle relative conseguenze in cui può incorrere chi ha commesso un errore nel prendere una decisione, spesso presente nei gruppi di pensiero, che porta i vari pensatori ad uniformarsi passivamente a quanto proposto dal primo membro del gruppo che esprime il suo pensiero.
È opportuno tenere presente che, come ha evidenziato il Professor Edward de Bono, con il termine “errore” vengono classificati, etichettati, dei comportamenti consistenti nelle sperimentazioni che non hanno avuto successo.
Questo utilizzo del termine errore è estremamente pericoloso, in quanto appunto lo si utilizza con una valenza negativa, ma per classificare e catalogare dei fenomeni che non sono riconducibili né alla violazione di regole logiche o di condotta, né all’errare senza tecniche di pensiero, in quanto appunto stiamo parlando della sperimentazione, e il Professor de Bono ha evidenziato come questa classificazione con l’errore delle sperimentazioni che non hanno avuto successo, costituisce appunto un grande limite o freno o disincentivo alla sperimentazione e alla generazione di nuove idee.
Questo è un limite che deriva dalla cultura comune, dal linguaggio comune, questa tendenza a classificare con il termine negativo di errore i tentativi che non hanno avuto successo, e al riguardo il Professor de Bono suggerisce di catalogare, di classificare, se vogliamo farlo, questi comportamenti, con il termine di “tentativo pienamente giustificato, che, per una ragione al di fuori del vostro controllo, non ha avuto successo”.
La terminologia appena suggerita, che evita il ricorso al termine errore per identificare tali comportamenti, consente di evitare che chi ha determinate competenze e voglia sperimentare, esplorare, per innovare, per generare nuove idee, sia disincentivato dal farlo, in quanto appunto in caso di insuccesso il suo comportamento sarebbe classificato come errore, e con le conseguenze di giudizio morale negativo ed anche di carattere economico a cui andrebbe incontro, appunto perché, nel comune modo di pensare, tale persona viene considerata come una persona che ha avuto insuccesso in quanto ha commesso un errore, utilizzando appunto il termine errore in modo assolutamente inappropriato.
Poiché la tecnica del pensiero laterale incoraggia la sperimentazione, inducendo i pensatori a generare, in modo efficace, nuove idee, che poi vengono ovviamente adeguatamente trattate e valutate con i vari tool del pensiero laterale, tale tecnica elimina in modo radicale il rischio di groupthink derivante dalla paura di sbagliare, di commettere errori, in quanto chi partecipa ad una sessione di pensiero in un team sa che è in grado di generare molte idee, alcune delle quali saranno sicuramente selezionate per essere modellate e rafforzate, e, successivamente, impiegate con successo in un determinato settore aziendale.
Pertanto, la consapevolezza, presente anche quando si pratica la tecnica dei Sei cappelli per pensare o del pensiero parallelo, utilizzando il pensiero laterale nell’ambito del cappello verde, dell’estraneità, a tali tecniche di pensiero, del timore di commettere errori, con la relativa valenza negativa, elimina in radice anche tale potenziale fattore che porta alla realizzazione del groupthink.
A ciò va aggiunta la considerazione che la tecnica del pensiero laterale favorisce la generazione di nuove idee e di alternative.
Quindi il pensiero laterale è, di per sé, assolutamente incompatibile con il groupthink, e costituisce pertanto un formidabile strumento per prevenirlo e contrastarlo.
Come evitare il groupthink tramite la tecnica del pensiero strategico
Costituisce un potente antidoto al groupthink anche la tecnica dello strategic thinking o pensiero strategico, in quanto tale tecnica è preordinata alla messa a fuoco delle varie problematiche, e in tale attività, come abbiamo evidenziato in un precedente video, tutti i pensatori si concentrano sulla definizione, ridefinizione e raffinamento del focus, e, quindi, non c’è assolutamente alcuno spazio per l’omologazione e il groupthink.
Accorgimenti organizzativi per contrastare il groupthink
Oltre alle tecniche di pensiero che vi ho illustrato, esistono alcuni accorgimenti organizzativi in grado di potenziare l’efficacia di questi metodi.
Vediamone alcuni.
- Nominare un devil’s advocate: assegnare esplicitamente a qualcuno il ruolo di sfidare le ipotesi del gruppo.
- Invitare esperti esterni: in tale modo vengono portate prospettive da fuori per rompere la bolla autoreferenziale.
- Suddividere il gruppo: consigliamo di fare lavorare sottogruppi indipendenti sullo stesso problema, e poi confrontare le soluzioni.
- Favorire un momento di riflessione individuale: prima di discutere in gruppo, dare tempo a ciascuno di formulare il proprio pensiero per iscritto.
- Praticare la cosiddetta “leadership facilitativa”: i leader devono astenersi dal dichiarare le proprie preferenze prima che il team abbia esplorato le alternative.
Queste strategie, combinate con le tecniche di pensiero strutturato che insegno nei miei corsi, creano un ambiente decisionale robusto e anti-groupthink.
Riepilogo
Ricapitoliamo: il groupthink è un fenomeno psicologico reale e pericoloso che colpisce team di ogni dimensione e settore.
Si manifesta quando il desiderio di armonia prevale sulla qualità del pensiero critico.
I sintomi sono riconoscibili: eccesso di consenso, mancanza di alternative, autocensura.
Le conseguenze sono concrete: decisioni inefficaci, innovazione soppressa, perdita di competitività.
Ma la buona notizia è che il groupthink è prevenibile.
Attraverso tecniche di pensiero strutturate, come i Sei cappelli per pensare, il pensiero laterale e il pensiero strategico, potete trasformare i vostri team da camere dell’eco in fucine di innovazione.
Cosa vi propongo di fare
Se riconoscete questi pattern nella vostra organizzazione, se volete dotare i vostri team di strumenti concreti per evitare le trappole del pensiero di gruppo e prendere decisioni di qualità superiore, contattatemi.
Come corporate trainer certificato de Bono, progetto percorsi formativi personalizzati sulle tecniche di pensiero per aziende, professionisti e team sui Sei cappelli per pensare, sul pensiero laterale e sul pensiero strategico.
Che siate un’organizzazione che vuole innovare i propri processi decisionali, o un professionista che vuole acquisire competenze distintive, posso aiutarvi.
Il pensiero di gruppo è il nemico nascosto. Ma, una volta che lo riconoscete, smette di essere invisibile.
E, una volta che avete gli strumenti giusti, smette di essere inarrestabile.
Pensate a una decisione che avete contribuito ad adottare in passato in un team di cui avete fatto parte, facendovi trascinare dal groupthink, della quale non siete soddisfatti, e che si è rivelata inefficace per l’azienda, e provate a individuare quali fattori vi hanno indotto a subire la decisione proposta da altri, inducendovi a non esporre le vostre idee nella riunione.
Se volete, potete condividere con me i risultati della vostra esperienza nei commenti al video che trovate in alto.
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